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I want to live in a Cloud: the amazing Cloud House by McBride Charles Ryan’s studio

Chi non ha mai immaginato di andare su una nuvola? Nonostante il fatto che possa sembrare un’utopia esiste una casa molto singolare e bizzarra proprio con questa forma decisamente inusuale. Non è fantasia ma è semplicente l’idea di un progetto di design super innovativo.

L’idea nasce dal geniale studio australiano McBride Charles Ryan è il risultato di un progetto di ristrutturazione per una residenza unifamiliare in un sobborgo a nord di Fitzroy, nelle vicinanze di Melbourne in Australia.

La Cloud House presenta sulla sua facciata posteriore forma originale ed inconsueta di una nuvola dai contorni rotondi. Nel corso di quasi un secolo la casa è stata spesso oggetto di vari interventi e modifiche, ma sempre lasciando intatta la facciata frontale, realizzata secondo uno stile più “classico” per mantenere la linearità della casa con il carattere storico del piccolo quartiere di Fitzroy. I cambiamenti hanno lasciato libero sfogo alla creatività, pur non trascurando la funzionalità degli spazi abitativi.

Entrando all’interno della struttura ci si ritrova in ambienti differenti ma ben armonizzati tra loro, dopo il passaggio attraverso l’ingresso bianco si incontra un particolare “box” di colore rosso al centro della casa che costituisce la cucina. Quest’ultima funge da ponte di collegamento tra i due spazi più grandi, cioè il soggiorno e l’area notte da un lato, la piscina e il grande giardino dall’altro.I pannelli di legno di cui è rivestita la casa formano con il pavimento ed il soffitto una sorta di tunnel ottico molto pittoresco. Inoltre, grazie alla sua ottima esposizione, la Cloud House è ricca di luce naturale e ben ventilata.

Il progetto rappresenta fa parte di una tendenza moderna ed innovativa che risponde all’esigenze di ogni tipo d’individuo senza trascurare i lati più fantasiosi e creativi che l’architettura e l’arte, generalmente, possono offrirci.

The target of nature is the man. The target of man is the Style: Gerrit Rietveld and “Der Stijl”.

Il movimento artistico del Der Stijl nasce in Olanda nel 1917 accompagnato dalla pubblicazione dell’omonima rivista fondata dal pittore Theo Van Doesburg. Oltre ad aver lasciato una forte impronta nel mondo dell’architettura e della pittura, questo movimento ha interessato anche il design: infatti dobbiamo ringraziare i designer appartenenti al Der Stijl per aver progettato creazioni che ancora oggi vengono considerate iconiche.

Sicuramente, il designer di maggior rilievo del Der Stijl è Gerrit Rietveld, mitico creatore della sedia “Red and Blue”.

Rietveld nasce ad a Utrecht, nel 1888 e nonostante la grande notorietà ha trascorso tutta la sua vita nella città natale. Figlio di un falegname, lavora con il padre fino all’età di quindici anni e fino al 1913 è il disegnatore nel laboratorio orafo del CJA Begeer. Il 1919 fu un anno importante per Rietveld poichè si unisce a Theo van Doesburg, Piet Mondrian e altri artisti per fondare “De Stijl” che avrebbe totalmente condizionato la sua vita e la sua opera. Il designer infatti sarebbe diventato una delle figure di spicco del gruppo.  Gli artisti del “De Stijl” formularono un linguaggio di forme che si prefiggeva di raggiungere la massima obiettività e autonomia in un’opera d’arte: le loro opere sono rigorosamente radicali, ridotte ad una disposizione geometrica di linee orizzontali e verticali, con una tavolozza composta dai colori primari rosso, giallo e blu, con l’aggiunta di bianco e nero. Le idee del “Der Stijl”, inoltre sono ispirate anche alle teorie del matematico Schoenmakers.

Rietveld nel 1917 disegna la sedia “Red and Blue” e ne aveva già realizzato un modello prima di unirsi al “Der Stijl” (1918). Progettando questa inusuale seduta, il designer idealizzava riduzione della realtà ai suoi tratti di linee e superfici e in seguito colori primari. La sedia è costituita da tavole dritte e listelli, la seduta è colorata di blu laccato e lo schienale di rosso, le superfici di taglio sono di colore giallo e i listelli sono neri. Lo stesso Gerrit Rietveld sembra aver concepito la sua sedia come un’opera d’arte dal momento che l’ha definita “una creazione spaziale”, che designa una scultura nello spazio, piuttosto che un mobile. La sedia “Red and Blue” è stata pubblicata sulla rivista “De Stijl”, ed è stata anche esposta in una mostra organizzata dal Bauhaus, dove è risultata un lavoro di un certo impatto.

Rietveld è stato anche un valido architetto: nel 1924/1925 ha progettato la “Casa Schröder” su commissione di Truus Schröder, a Utrecht: un edificio che sarebbe diventato il manifesto architettonico del movimento De Stijl. I colori, la divisione e la disposizione delle superfici su due piani di questa casa privata seguono fedelmente i principi di “De Stijl”.

Tra il 1932 e il 1934, ha progettato la sedia “Zig Zag”, che consiste in quattro tavole semplici montate insieme negli angoli obliqui.

Nel 1928 Gerret Rietveld è diventato un membro del Congrès Internazionale d’Architecture Moderne (CIAM). Muore nel 1964 senza vedere mai completato il suo progetto per il Van Gogh Museum di Amsterdam, concluso nove anni dopo la sua dipartita.

Architecture as air: Junya Ishigami’s pavilion for the Venice Biennale 2010.

 

Con il passare dei secoli abbiamo potuto ammirare le tante e straordinarie evoluzioni dell’architettura attraverso l’invenzione di stili diversi, l’uso di nuove tecniche e/o di materiali speciali. Ma a volte la fervida fantasia di architetto può spingersi ben oltre i limiti dell’immaginabile umano cercando di rappresentare addirittura  l’oscillazione in aria di un oggetto e ciò che non è visibile ad “occhio nudo”.

Il geniale architetto giapponese Junya Ishigami, definito da molti critici ragazzo prodigio dell’architettura orientale, noto per aver realizzato opere e strutture che studiano l’oscillazione in aria (come ad esempio il Balloon Cuboid, un pallone dalle esatte sembianze di un pesante monolito che fluttua in aria, che in realtà è un traliccio in alluminio pieno d’elio) è riuscito a creare un’opera così innovativa e sorprendente da meritarsi il Leone d’oro per il miglior progetto alla Biennale di Architettura 2010 svoltasi a Venezia: il padiglione giapponese dell’Esposizione alla Biennale è stato concepito dall’architetto come qualcosa che si trova a metà tra l’architettura vera e propria e un “modello”. La struttura aveva una larghezza di 4 metri, una profondità di 14 metri e un’altezza di altri 4 metri. La sua peculiarità stava nel fatto che non fosse visibile ad una prima occhiata: infatti il modello presentava le dimensioni di un edificio ma i suoi elementi strutturali erano incredibilmente sottili, con colonne e travi di 0,9 mm e 0,02 mm di spessore realizzate realizzate in una fibra di carbonio, praticamente, quasi invisibile e impercettibile.

Ishigami ammette che questo modello era probabilmente irrealizzabile come “struttura” vera e propria. Infatti il suo intento è stato quello di utilizzare, attraverso il progetto del padiglione, l’architettura al fine di dare un senso di trasparenza (il quale fino ad allora richiamava solo l’immagine di opere fatte con materiali come il vetro, il plexiglass…) e di edificare una sorta di costruzione fatta di aria.

Il lavoro è stato commentato dai migliori critici come una visione “unica ed eccezionalmente rigorosa”, un lavoro che spinge all’estremo i limiti della materialità, visibilità, leggerezza e dell’architettura stessa.

A limitless project: Guggenheim Museum of Bilbao

La città spagnola di Bilbao deve la sua fama nel mondo come meta apprezzata dagli amanti dell’architettura contemporanea ad un progettista, indiscusso maestro del decostruttivismo, Frank Gehry e ad  dei suoi più grandi ed importanti capolavori, il Museo Guggenheim, appartenente all’omonima catena di musei.

Il museo è stato definito da Philip Johnson come il più grande monumento di un’intera
generazione di architetti, probabilmente per il suo differenziarsi da qualsiasi altro tipo di edificio e per la sua imponente struttura avveniristica, progettata con la tecnologia computeristica più avanzata, la stessa che si adopera nella progettazione di aerei militari. Inaugurato il 18 ottobre 1997, è stato capace di colpire l’attenzione del pubblico mondiale, diventando un curioso punto di riferimento per l’architettura contemporanea. Il Guggenheim inoltre ha messo in secondo piano ogni altra immagine, positiva e negativa, del luogo in cui sorge: se in passato il Paese Basco e,appunto, la città di Bilbao appunto, erano legati alle bellezze della costa atlantica e alle scelleratezze ricorrenti della formazione terrorista basca (Eta), oggi la fisionomia della città e della regione è definita, per chiunque, dalla mole sorprendente del monumento che viene considerato di gran lunga importante rispetto alle opere che contiene. Possiamo dire che Gehry, oltre a realizzare un colosso architettonico, ha contribuito a migliorare l’umore degli abitanti del posto, che, addirittura, sono così fieri di possedere tale opera nel proprio paese da esporre con immenso orgoglio la foto del Guggenheim nelle vetrine dei propri esercizi commerciali come salumerie, botteghe, antiquari.

Effettivamente un edificio così “insolito” ma contemporaneamente fantasioso e “libero” non si vede tutti i giorni; Gehry esprime in un’intervista i suoi pensieri riguardo la sua creazione:

“Sotto molti aspetti questa è stata la mia committenza più eccitante. A Bilbao abbiamo sviluppato processi costruttivi che useremo nel futuro. L’avanzatissima tecnologia computeristica utilizzata persino dell’aeronautica, ha abolito le costrizioni strutturali; così è stato possibile edificare il museo con un investimento finanziario ragionevole. Ho imparato, in questo cantiere, che possiamo controllare i costi. […] C’erano migliaia di pezzi d’acciaio, molti non diritti. E non era un sistema modulare regolare, c’erano lunghezze x, y e z. Un impresario edile che avesse dato un’occhiata alla faccenda, si sarebbe messo le mani nei capelli e avrebbe raddoppiato il prezzo, convinto comunque che si trattasse di un piano di lavoro infinitamente mutevole e, in ultima analisi, irresponsabile. Ma noi, col computer, abbiamo fatto tutti i profili. Ogni pezzo di metallo è stato esattamente numerato e dettagliato, fino a precisare la posizione dei fori. Poi abbiamo indetto la gara d’appalto, consegnando il software a tutti i concorrenti. E tutti sono tornati con dei preventivi di almeno il 18 per cento sotto il budget!”.

Possiamo dedurre, quindi, che il  Museo Guggenheim è un progetto innovativo che presuppone l’uso di materiali innovativi: 33000 lastre di titanio, realizzate per durare cent’anni, ricoprono buona parte della superficie esterna e 2500 lastre di cristallo costituiscono invece le parti trasparenti dell’edificio, strutturate in doppio cristallo termico per da proteggere l’interno dal calore e dalle irradiazioni solari.

Due elementi degni di nota, che ormai sono parte integrante dell’intero complesso sono il gigantesco ragno che accoglie i visitari all’entrata del museo e, dopo essere usciti all’esterno della struttura, Puppy, il cane alto 12 metri, realizzato in fiori da Jeff Koons. Effettivamente una meraviglia come il Guggenheim non poteva aspirare a guardiani migliori!

Calatrava’s masterpiece: the City of Arts and Sciences of Valencia

I progetti del visionario architetto spagnolo Santiago Calatrava mostrano un’unità profondamente umanistica combinando intelligenza razionale e armonia delle forme.

Sicuramente uno dei lavori più conosciuti e particolari dell’architetto è quello di Valencia, attuato nel complesso della “Città delle Arti e delle Scienze”. Inoltre Calatrava sempre a Valencia ha progettato il noto ponte Alameda, altro celebro lavoro compiuto nel territorio spagnolo. Il centro delle Arti e delle Scienze è composto da cinque diverse strutture divise nelle tre rispettive aree tematiche, Arte, Scienza e Natura, viene definito un capolavoro di tecnologia e architettura post-moderna e rappresenta uno dei maggiori poli attrattivi per i turisti; si estende sul letto del fiume Turia, ora definitivamente deviato dopo alcuni straripamenti avvenuti in passato. Architettonicamente il complesso si divide in 4 grandi edifici dallo stile costruttivo originale:

– L'”Hemisfèric”, una struttura dedicata alla proiezione delle pellicole cinematografiche. D’effetto sono la forma “oculare” dell’edificio e il grande schermo concavo che sovrasta gli spettatori.

– Il “Palau de les Arts”, dedicato alla musica, all’arte, ai concerti e alla diffusione di tutte le arti sceniche.

– L'”Umbracle”, una sorta di “giardino d’inverno” di nuova generazione, con tante piante di specie diverse.

– Il “Museo de las Ciencias”, dove turisti e studiosi potranno trovare esposte tutte le novità scientifiche. La struttura dell’edificio ricorda la scheletro di un dinosauro.

Inoltre ci sono altre tre “parti” complementari, cioè:

– L'”Oceanografico”, un’immenso ed importante acquario a livello europeo.

– Il “Pont de l’Assut de l’Or”, noto come punto più alto della città.

– L’Agorà.

Per via del grande afflusso di turisti, il centro ha organizzato una fitta rete di negozi, bar e ristoranti al suo interno. Per entrare nelle varie strutture si paga un biglietto di pochi euro. I mezzi di trasporto pubblici permettono di raggiungere il luogo agevolmente. Tutti questi servizi contribuiscono a rendere questo importante complesso architettonico, ma allo stesso tempo, scientifico, naturalistico e artistico, un luogo interessante ed interattivo.

Christmas Style @ MiCo

Milano cerca di essere sempre più all’avanguardia e sorpredente proponendo idee e strutture moderne ed innovative che di certo non passano inosservate. Ovviamente, in occasione del Natale, gli architetti che lavorano per questa metropoli hanno ideato qualcosa di particolare e affascinante.

Al MiCo-Milano Congressi, conosciuto come il più grande centro congressuale d’Europa, in attività da oltre un anno, progettato dagli architetti Mario Bellini e Pierluigi Nicoli, poche settimane fa è stata completata l’ultima opera per celebrare le festività natalizie: un impianto messo a punto da Philips per far funzionare un sistema di luci Led capace di dare forme e colori mutevoli ad oltre 8000 metri quadrati di raggi di alluminio, creando una scia sinuosa e luminescente che abbraccia tutta la struttura. Questa creazione è stata metaforicamente paragonata ad una cometa che si infrange sul tetto dei padiglioni, lasciando cadere una pioggia di schegge.

“La cometa” è stata inaugurata ed accesa per la prima volta il 5 Dicembre 2012 in una bella serata con tanto di un’esibizione di danza acrobatica seguita dal concerto dell’Orchestra Sinfonica Giuseppe Verdi, con panettone e brindisi finale per il pubblico. Inoltre è diventata già un simbolo nello “skyline by night” milanese.

“Memoria e Luce”: don’t forget 11th September 2001.

L’attentato dell’11 Settembre 2001 al World Trade Center rappresenta un atto terribile che ha segnato la storia dell’umanità. Alcuni anni dopo questo tragico evento in moltissime città sono stati eretti monumenti in memoria dell’accaduto al fine di ricordare quella triste giornata e le sue vittime innocenti. Uno dei monumenti più celebri si trova a Padova: si tratta di una grande ed imponente struttura luminosa realizzata in vetro e acciaio denominata “Memoria e Luce”. Questo progetto nasce dal genio di Daniel Libeskind, architetto statunitense di fama mondiale, importante esponente del decostruttivismo. Egli, inoltre è già vincitore del concorso per la ricostruzione dell’area di Ground Zero a New York proponendo il progetto di un nuovo quartiere ricco di particolari nel quale svetta in mezzo a tutto la Freedom Tower, un grattacielo alto 1776 piedi (numero simbolico che ricorda l’anno della dichiarazione d’indipendenza americana).

“Memoria e Luce”, costruito nel 2005, si trova nelle aree delle Porte Contarine, una zona estesa tra Via Matteotti, Via Giotto, Corso del Popolo e Via Trieste che ha sempre avuto una grande importanza per la città poichè in passato in quel punto era presenteuna cinta muraria che proteggeva la città. In questo luogo si è quindi trovata la collocazione ideale per la struttura che vuole richiamare l’attenzione a valori come la pace, la libertà, la convivenza e l’unione delle culture attraverso un linguaggio contemporaneo, anche “urlato”, nella verticalità del corpo centrale, e rappresentativo del dubbio, della difficoltà ad affrontare l’incomunicabilità, nell’opacità del vetro, ma anche moderna fiaccola di speranza grazie all’illuminazione interna.Il monumento, unico in Europa, è stato concepito intorno ai resti contorti di una trave del World Trade Center, esposta al padiglione americano della Biennale di Venezia del 2002 e donata dalla città di New York alla Regione Veneto. Si decise di realizzare per questo frammento una cornice capace di essere simbolo di valori universali e di inserirlo quindi in un grande monumento affidato a un architetto di fama mondiale, da realizzare in un luogo di valore simbolico. La struttura si compone di una parete in vetro satinato, lunga 50 metri e con un’altezza variabile da 2 a 5 metri, che termina in un cuneo alto 17 metri, formato anch’esso da due pareti di vetro a forma di libro aperto. All’interno di una di queste due pareti è incastonato il frammento di trave, lungo circa sei metri, del World Trade Center. L’opera ha la particolarità di cambiare luce e caratteristiche a seconda dell’angolo di osservazione.Il vetro di cui si compone l’intera struttura è stato appositamente adattato alle specifiche esigenze di quest’importante opera architettonica.  La lavorazione ad alto contenuto tecnologico, inoltre, rende il vetro satinato utilizzato vellutato al tatto e resistente agli agenti esterni, incorruttibile e immutabile come il ricordo delle vittime della tragedia.

Purtroppo ultimamente il monumento è stato deturpato da vandali senza alcun rispetto per la strage in cui morirono più di 3000 persone: il progetto di Libeskind è diventato l’obiettivo di un ridicolo ma purtroppo implacabile tiro al bersaglio. I preziosi vetri dell’opera sono colmi di buchi e crepe. I danni ammontano a migliaia di euro poichè le lastre sono prodotte con materiali molto ricercati e costosi. Inoltre la Regione Veneto ha il timore che, una volta sostituite, possano diventare nuovamente oggetto di vandalismi. Questo capita quando purtroppo non viene rispettata nemmeno più la morte, anzi, viene presa a sassate.

Milano signed by Herzog & de Meuron.

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Nel 2010 a Palazzo Marino è stato presentato un piano di lavoro innovativo e molto importante dal punto di vista architettonico per la città di Milano riguardante la riqualificazione urbanistica dell’area Porta Volta, nel quale è prevista anche la realizzazione della nuova sede della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli. I famosi architetti Jacques Herzog e Pierre de Meuron firmeranno il progetto, il quale sarà la prima loro opera italiana dopo 35 anni di attività in tutto il mondo.

Gli svizzeri Herzog & de Meuron, progettisti di fama mondiale, artefici di opere straordinarie come lo stadio dell’Allianz Arena a Monaco di Baviera (il più grande d’Europa, dotato di facciate coperte da materiale riciclabile) e lo stadio nazionale di Pechino, ispirandosi alle tradizionali linee architettoniche lombarde ma riadattate in chiave attuale, hanno ideato una costruziome edilizia formata da due corpi che esaltano gli elementi urbanistici e valorizzano l’antica Porta milanese, con l’ausilio di due strutture gemelle. Il suddetto piano di riqualificazione inoltre prevede la creazione di grandi spazi verdi, piste ciclabili e percorsi pedonali, affiancati da attività commerciali. Il piano terra della Fondazione Feltrinelli invece ospiterà una libreria ed una caffetteria, il primo piano sarà ideato uno spazio multifunzionale, il secondo piano sarà destinato agli uffici. All’ultimo piano inoltre ci sarà una sala lettura nella quale il pubblico potrà consultare i documenti storici dell’archivio della Fondazione.

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“Struttura e ripetizione sono i principali temi della nuova architettura, lunga e stretta, dove il tetto inclinato diventa un tutt’uno con la facciata dell’edificio. La struttura si adatta ai confini storici dell’area, con un adattamento dei suoi edifici al tracciato storico e con il giusto equilibrio tra trasparenza e definizione degli spazi interni. La composizione dei pieni e dei vuoti genera ritmo lungo tutta la struttura, che permette la presenza di spazi diversi, pur nella chiara unitarietà del progetto”.

La prima pietra del progetto è stata posata solo il 20 Novembre 2012 ed il suo completamento è previsto per il 2015, donando ai cittadini milanesi un’area della città moderna e all’avanguardia.